Danza

Mats Ek: "Il corpo è uno strumento senza limiti"

Mats Ek
Mats Ek

Intervista a Mats Ek. L’edizione 2019 del Festival Equilibrio si apre con Aurora Boreale di Mats Ek, uno spettacolo che ripercorre i ricordi e la memoria del grande coreografo svedese, che si racconta a Teatro.it

Dopo l’annuncio del suo addio alle scene nel 2016, il grande coreografo e regista svedese Mats Ek ritorna in scena con uno spettacolo di apertura per Aurora Boreale, l'edizione dedicata ai paesi nordici di Equilibrio Festival, la rassegna in scena fino al 26 Febbraio all'Auditorium Parco della Musica di Roma. Accanto a lui ci saranno la moglie Ana Laguna e il danzatore Yvan Auzely per interpretare tre coreografie che ben riassumono la sua danza “umana” in cui il corpo comunica l’essenza stessa dell’anima. 

Mats Ek si racconta mostrando il suo passato, i suoi ricordi, le sue origini, facendo dell’esperienza una nuova realtà dai mille punti di vista. Come “un’aurora”, allo stesso modo la sua danza si colora di infinite sfumature di luce.
 

Mats Ek torna in scena al Festival Equilibrio con questa performance incentrata sul tema del ricordo e della memoria. Cosa dobbiamo aspettarci?
In realtà è soprattutto in Memory che si sviluppa esplicitamente il tema del ricordo. In questa coreografia un uomo segue il filo dei ricordi e lo spazio del palcoscenico si trasforma nell’intimità che divideva con la sua donna. Il passato diventa presente, ciò che era perduto si fonde in una nuova realtà. Una metafora di questo concetto si trova anche nella coreografia-film Old and Door, dedicata a mia madre Birgit Cullberg, in cui un’anziana donna oltrepassa una porta che conduce a ricordi, desideri e timori ma che si apre anche verso spazi ignoti e stanze mai visitate prima. Infine in Axe un uomo e una donna si confrontano a partire da un’azione normale, come spaccare legna da ardere, concepita dall’uno come una questione di importanza pratica, dall’altra come un atto di violenza. In linea generale le tre coreografie sono accomunate dalla presenza di interpreti molto maturi che ben rappresentano la memoria e il ricordo di un tempo già trascorso.
 


Quale influenza ha avuto il rapporto con sua madre Birgit Cullbert, pionera della danza moderna in Svezia, sul suo lavoro?
Il lavoro di mia madre è stato determinante e ha avuto grande influenza. Si può dire che mi ha forgiato perché è stata per molto tempo una figura costantemente presente alle mie spalle. Ma la mia speranza è che quest’influenza sia stata molto piccola perché ritengo che non si possa essere veramente e totalmente liberi nella creazione coreografica se persiste un qualsiasi legame di tale portata con una persona così vicina. Quindi posso dire di essere stato guidato per molto tempo da mia madre ma per me sono stati determinanti anche e soprattutto altri artisti come, ad esempio, Merce Cunningham, Martha Graham, Maurice Béjart, Pina Bausch, Jiří Kylián, George Balanchine e molti altri. Di ciascuno di loro ho amato cogliere qualcosa degli aspetti principali che li hanno resi dei grandi artisti come la musicalità, la fantasia, la tecnica, la teatralità. Ma alla fine resto solo io l’autore del gioco. Starà al pubblico cogliere e giudicare quelle divergenze che segnano una distanza e una presa di posizione e di coscienza rispetto a mia madre.

Nel processo di costruzione coreografica come si compenetrano gli schemi dell’astrazione e dell’emotività, da sempre presenti nelle sue creazioni?
Prima di incontrare i ballerini cerco di essere sicuro al cento per cento della mia idea. Infatti, prima di arrivare in sala preferisco provare già da solo sul mio corpo la coreografia e solo in un secondo momento inizio a comunicare la mia idea e il movimento che può concretizzarla ai danzatori. Il concept della creazione sicuramente può evolversi in sala prove ma per me è fondamentale arrivare in studio perfettamente preparato perché solo così hai la possibilità di improvvisare e, quindi, creare.
 


La danza per Lei è un linguaggio di comunicazione. Come si collegano l’astrazione e lo schema di narrazione presenti nei suoi balletti?
Sicuramente attraverso la coreografia. È il movimento stesso che collega questi due elementi. Ho visto moltissimi balletti in cui predomina l’astratto, ossia, il movimento fine a se stesso. Ma nei miei lavori, pur sempre attraverso l’astratto, cerco sempre di fare in modo di cambiare spesso punto di vista, permettendo allo spettatore di usufruire di un ampio raggio di sguardi. Il pubblico, tuttavia, deve sempre avere chiaro il significato della narrazione dall’inizio alla fine dello spettacolo, non deve mai smarrirsi. Per fare ciò cerco anche di dare una logica alla coreografia e di mantenere un filo narrativo ben leggibile.

Dove ha trovato maggiore libertà di espressione? Nella ricostruzione di grandi classici del balletto, nei primi lavori di regia teatrale o in quelli più moderni?
I temi classici sono molto interessanti ma non li sento come una vera e propria necessità, anche se cerco di narrare entrambe le cose. Quando quarant’anni fa ho iniziato a fare il coreografo  le tendenze della danza contemporanea portavano a considerare le storyballet un qualcosa di “old fashion”. Perciò si evitava di venire in contatto con questo genere di danza. 
Io ho cercato di ricostruire i balletti classici come La Bella Addormentata, Carmen, Giselle, ma al tempo stesso ricercando nel movimento del corpo un qualcosa di moderno. Ho tentato di cambiare me stesso, evitando di seguire questa tendenza, sperimentando e restando a vedere cosa succedeva.
 


Continua ad essere ancora un coreografo politicamente impegnato?    
Si assolutamente. Anche se ora con la maturità sono meno tentato dai temi politici. Ciò che a me interessa è la danza in se e in questo tipo di lavori essa, purtroppo, deve porsi necessariamente al secondo posto.

Esiste un una forza motrice dalla quale nasce il suo bisogno di coreografare?
Tutto ciò di cui parlo è la ricerca di una risposta, io stesso la cerco ancora. La danza non riguarda niente che possa essere paragonata ad altre espressioni artistiche, come ad esempio il teatro, il cinema ecc, nonostante io mi sia precedentemente occupato di regie teatrali e cinematografiche. 
Solo successivamente mi sono accorto che la possibilità che ha il corpo di esprimersi con la danza non conosce paragoni perché le sue occasioni di comunicare sono infinite. Il corpo è uno strumento senza limiti.